Lettera a mio figlio

26.08.2015 05:12

Come posso descriverti il nulla figlio mio?

 

Come posso raccontarti del nulla, della sensazione insopportabile che tutto ciò che vivi, fai, pensi, senti e cerchi di combattere è un nulla costante.

 

L’invadenza assordante delle vuote parole che nulla significano e nulla portano con se. 

Il deserto del pensiero, le dune di vuoti sentimenti fatti di sabbia impalpabile, ed il vento dei miei atteggiamenti che soffia forte ma che nulla lascia se non capelli scompigliati e rami rotti.

 

Figlio c’è chi decise in un solo istante che tuo padre e migliaia di altri padri non servissero più a niente. Che di nulla loro erano fatti e nel nulla loro dovevano perire. 

Non se ne conoscono le reali motivazioni, non è dato sapere per quale reale ragione. Semplicemente si decise che il denaro, il mezzo con cui ci si procurava il cibo, le vesti, l’essenziale ed il futile, era più importante dell’uomo che lo aveva inventato. 

Non era più il lavoro e l’ingegno, l’imparato e le cose da imparare che erano importanti, ma era importante il possesso delle cose e lo strumento per acquisire quelle cose divenne un Dio onnipotente e sanguinario.

 

Le mani, figlio mio, le mani mie e quelle dei tuoi antenati costruirono città e villaggi, piegarono il ferro e lo resero malleabile, tagliarono alberi per scaldarci e per rendere la nostra vita più comoda. Le mani ruppero la terra e ne trassero sostentamento. Le mani quelle tue e mie tutte uguali senza ne colore della pelle ne Dei insignificanti ma solo la loro forza ed i calli che il lavoro faceva venire. Le mani non contano più. Non conta più cosa le mani sono in grado di fare ma la ricchezza che possono produrre. Una ricchezza di mezzi che non è destinata ne a me ne a te. Le mie mani che per rendere quella ricchezza e differenza più forte hanno fermato, qui calli da lavoro che lentamente si sono disfatti ed hanno perso peso e valore. La loro forza è divenuta simbolo effimero ed antico di ciò che era e non è più.

 

Ci hanno preso e reso inermi, fermi, inutili.

Il lavoro, il sudore, le mani avevano creato una sorta di eguaglianza fra eguali ed un giorno qualcuno decise che quella eguaglianza non poteva più esistere ed andava sostituita con il potere del mezzo ed il mezzo era il denaro che quelle stesse mani creavano come risultato del loro mai fermarsi. Capirono che per assoggettare tuo padre ed i padri come lui era sufficiente fermare le loro mani. Renderli schiavi di un mondo antico che loro dicevano moderno. Gli schiavi non sono una modernità ma il riproporsi di livelli e differenze fra uomo e uomo che lentamente quelle stesse mani ed i loro calli durante la storia avevano tolto o reso meno cruente.

 

E mi misero nel nulla. 

Hanno fermato le mie mani e con loro il mio pensiero e mi misero in una gabbia di idee che è un nulla vuoto. Mi tolsero la capacità di sfamare te e tua madre che ho amato più del vento e del mare, resero un’ uomo appendice inutile e ferma. Hanno cambiato forma alla schiavitù che non è più lavoro mortale e non pagato ma è non lavoro e nulla sociale. Mi resero loro debitore e questuante, mi tolsero il lavoro per la mie mani e con lui la mia stessa dignità per rendermi loro succube.

Dissero che le banche che contenevano il loro denaro erano più importanti di me e della mia dignità di uomo pensante e madido di sudore. Dissero che il padrone del mio lavoro pagava troppo per me, per mantenermi libero e cosciente e mi convinsero che era lui e non il mio lavoro che rendeva ricca la nazione. Tolsero le fabbriche dove tuo nonno piegava il ferro quelle stesse fabbriche che lui ed altri come lui avevano difeso con la vita quando il mostro dei pensieri aveva creato dittature infami. Diressero il mio lavoro in altri paesi dove lavoratori uguali a me con mani identiche alle mie producevano le stesse cose ma con costi minori del mio.

 Mi fecero credere che la colpa era loro, mi convinsero che il mio masticare cibo era diverso dal loro. Mi dissero che il loro Dio era perverso e difforme, mostro da distruggere. Mi fecero odiare altre mani che erano uguali alle mie.

 

Amore mio, figlio mio come si fa a spiegare il nulla e farti capire la mia disperazione.

Come posso dirti che vorrei poterti dare più di quello di cui abbisogni, come posso spiegarti senza istillare odio nelle pieghe dei tuoi pensieri che tuo padre è schiavo e rinchiuso in una gabbia con sbarre più forti di lui. Come posso insegnarti da schiavo quale io sono che è esisto un’uomo che ha parlato di libertà, uguaglianza e fratellanza e che quell’uomo da schiavo si è fatto uomo libero? 

Come posso dirti che il lavoro, il sudore, il pensiero e la cultura sono gli strumenti che ti servono per non essere schiavo come tuo padre è.

Come posso parlarti del mio profondo amore nei tuoi confronti senza farmi vedere da te che sono disperato e perso in un mondo di nulla. 

 

Le mie lacrime non sono per i tuoi occhi, la mia disperazione non è per la tua mente, io pretendo da me la forza per parlarti di amore e non di odio. 

 

 

Tuo per sempre padre.